terça-feira, 26 de fevereiro de 2008

Vecchie Terre di Montefili

Caros Enoamigos,

No site: http://www.acquabuona.it/, o Sig Pardini Fernando, visitou em Setembro de 2007 a Vinicola Vecchie Terre di Montefili na Toscana.
Segue abaixo a entrevista na integra pra voces.

Toda a informacao e fotos foram retiradas do site italiano: Acquabuona.


Parlare di Montefili non è come parlare di un posto qualsiasi. Almeno per quanto mi riguarda. Troppi i ricordi, che poi sono ricordi di viaggiatore. A quel crocicchio d'alta collina infatti, una trentina d'anni fa, e per diversi anni a seguire, la 127 rossa di mio padre arrivava regolarmente arrancando, per via del viaggio che cominciava a farsi sentire e per via di quell'ultimo strappo in salita - fatto di curve, bosco e polvere bianca- che ti toccava fare se ti prefiggevi, come noi ci prefiggevamo, di raggiungere Montefili arrivandoci dalla Badia a Passignano. A quel crocicchio la sosta era inevitabile, sia per far riposare il motore dopo le fatiche della ennesima gita fuori porta, sia per far riprendere i passeggeri (soprattutto il sottoscritto, immancabile sul sedile posteriore) dalle conseguenze del perdurante sballottamento, sia soprattutto per prendere la decisione fatidica della giornata: " dove si va?". Eh sì, perché dalla Versilia partivamo alla buon'ora con destinazione Chianti Classico, ma dove andare in particolare spesso lo decidevamo lì per lì, a Montefili, consueto crocevia di un passaggio pressoché obbligato. Capitava così a volte di proseguire a diritto e planare su Greve dal colle ripido di Montefioralle, e allora la sosta mangereccia al Verrazzano (con risultati alterni a dire il vero) non era cosa rara, oppure di girare a destra per inoltrarsi nella Conca d'Oro panzanese ed azzardare persino le terre senesi. In quel caso, sosta obbligata (e mangereccia) da Montagliari. Quasi sempre, alla sera, eravamo spossati; la 127, più rossa del solito. Nello stesso tempo, e me ne accorgo oggi più che allora, i ricordi si stavano riempiendo di qualche cosa di incancellabile.

A un passo da quel crocicchio di collina, fra Greve e Panzano, ecco che l'azienda agricola Vecchie Terre di Montefili fece la sua timida comparsa ( quanto meno nell'immaginario mio) agli inizi degli anni '80. Ce ne accorgemmo non tanto dai segnali stradali quanto da un inatteso (per quanto ci colpì) Chianti Classico 1982, probabilmente acquistato da mio padre all'Enoteca di Greve durante una di quelle trasferte là. Quella bottiglia ci informò di una presenza nuova nel panorama chiantigiano. Di più, quel vino segnò come uno spartiacque nella mia acerba consapevolezza enoica: non so perché ma mi piacque molto più di altri (che so, al pari di un Savignola Paolina degli anni '70, o di un Riecine) al punto da ricordarne ancora la sensazione di corpo e finezza finalmente fuse, e quella fisionomia compiuta, perfetta, "senza grinze", davvero inusuale per un Chianti di allora. Quel vino pareva avesse il dono di una maggiore consapevolezza di sè, ecco cos'era. Da semplici appassionati quali eravamo, non ci azzardammo mai a bussare a quell'indirizzo, ma i nostri passaggi da Montefili, da lì in poi, furono ravvivati da una certezza in più e da un vino nuovo di nostro gradimento . Ebbene, se quel Chianti ha segnato il mio tempo di bevitore in erba, quasi certamente ha segnato anche quello di Roccaldo Acuti, il proprietario della novella impresa, perché da quel vino cominciò una avventura nuova, che ha portato una famiglia di imprenditori pratesi ad innamorarsi del Chianti. Un amore per la vita. Di più, se un imprenditore che investe nel mondo del vino può considerarsi cosa ovvia (a quei tempi forse lo era un po' meno), non possono di certo considerarsi cosa ovvia i vini che a Montefili sono nati. Perché fin dai primi loro passi qualcuno intuì che alla loro riuscita andava contribuendo in maniera decisiva un alleato insostituibile: il suo nome era terroir.

Roccaldo Acuti acquistò la proprietà nel 1979, con l'idea in testa di produrre vino importante da potersi vendere bene. Obiettivo centrato, potremmo dire alla luce dei fatti. Fu così che, grazie all'ausilio professionale e umano di Vittorio Fiore, la stoffa di quei solidi rossi dallo squillante spirito chiantigiano iniziò a far parlare di sé. Non una flessione degna di nota, non una defaillance lungo il percorso. Anzi, semmai, oggi che ne apprendo gli sviluppi e i nuovi entusiasmi, mi pare che il tutto si stia traducendo in carattere e personalità ancor più manifesti. Sono vini rossi intriganti questi qua, caratteriali, longevi, figli legittimi di un terroir diverso ed eccezionale, dove l'altitudine sostenuta (siamo a 500 metri slm!) e l'anima galestrosa dei suoli giocano da par loro sulle fisionomie e le attitudini, qualunque sia il vitigno in questione. Qui, è inutile girarci attorno, sono nati due fra i vini più emblematici del Chianti: Bruno di Rocca ed Anfiteatro; con il primo (blend di cabernet sauvignon e sangiovese) che ha cavalcato e vinto la sfida apportata alla stagnante situazione di un tempo dai Supertuscan, distinguendosi puntualmente dal sempre più nutrito novero dei vini di fantasia (non esenti da anonimato) per via del carattere fiero e della rara intensità gustativa; e con il secondo, nato per onorare le potenzialità del sangiovese "d'altura", che ha annoverato prestazioni di rilievo anno via anno, messe in luce anche da recenti verticali, e dove pienezza, tessitura e charme appartengono di diritto all'aristocrazia vinosa regionale. Qui, in piena corrispondenza euritmica con le condizioni microclimatiche dei luoghi, i vini se ne escono lenti, "progressivi", tannicamente incisivi in gioventù, ma con una profondità d'intenti ed una propensione all'invecchiamento che trovano pochi eguali. Sono vini che vogliono tempo. Se glielo concederete quel tempo, sapranno ripagarvi.

Oggi, giornata calda e settembrina, con un sangiovese promettente ancora da vendemmiare, mi ritrovo a Montefili in compagnia dell'autentico "factotum" della tenuta: Tommaso Paglione, enologo di casa nonché genero di Roccaldo. Da qualche tempo ha preso in mano le redini della conduzione enologica, non disperdendo affatto le conquiste di una storia venticinquennale ad alta dignità, ma apportando semmai entusiasmo (autentico) e reale sensibilità interpretativa verso una materia difficile come il sangiovese, soprattutto se stiamo alle non così infrequenti bizzarrie climatiche degli ultimi anni. Ebbene, negli anni 2000 la produzione di Montefili ha partorito una serie di vini di rara compattezza qualitativa. Oggi, insieme a Tommaso, visito gli impianti di sangiovese messi a dimora recentemente e assaggio gli acini nel famoso anfiteatro


Ho l'onore poi di fare un piccolo ripasso delle annate nuove, per sorprendermi ancora di fronte alla seducente personalità del Chianti Classico 2004, in cui freschezza, sfumature e una struggente aulicità ne esaltano l'invidiabile profilo (e reclamano la dignità di una Riserva); oppure di fronte alla profondità del Bruno di Rocca 2004, come sempre volitivo, infiltrante, balsamico, caratteriale; o alla incredibile nobiltà d'animo dell'Anfiteatro 2004, un conseguimento raro in cui la freschezza acida si fa pervasiva e la classe tannica sopraffina, a decretare una delle prestazioni migliori di sempre. E dopo essermi piacevolmente dissetato con il simpatico e profumato Vigna Regis 2005, unico bianco della casa, curioso blend di chardonnay e sauvignon, con un pizzico di gewurz, rimango di sasso di fronte alla prova di botte (botte grande) del Chianti Classico 2006, perché nettezza, equilibri e qualità di frutto sono quelli del vino superiore. Il campione di botte (piccola) destinato all'Anfiteatro 2006 possiede invece materia più concentrata e bocca volumica (c'era da attenderselo), e sfodera un finale di sontuosa dolcezza tannica. Infine, a pochi giorni dall'imbottigliamento, raccogliamo dalla vasca un campione di Chianti Classico 2005: rubino senza forzature, naso freschissimo e minerale, speziato, elegante, aggraziato; beva reiterata, ritmo, sentimento, tipicità...
Setembro 2007 by Sig. Pardini Fernando.
Enoabracos,
Simone Ferreira
LCB

Nenhum comentário: